Concelebrazione del giovedì santo

Cattedrale di Oristano, 5 aprile 2007

È con profonda emozione interiore che celebro questa prima messa crismale con voi, cari confratelli nel sacerdozio, cooperatori del mio ministero della parola, della santificazione, della cura pastorale del popolo di Dio. In questa circostanza, più che in tutte le altre, sento molto forte il vincolo della pienezza del sacerdozio con la pienezza della comunione;

vincolo che mi fa sentire allo stesso tempo padre, fratello, amico di ognuno di voi. Il presbiterio è la famiglia del vescovo, il luogo privilegiato dell’esperienza di condivisione di dono e missione, di speranze e sofferenze. In questa circostanza, più che in tutte le altre, prendo coscienza con voi che l’eucaristia ci chiama a vivere ciò che celebriamo e a celebrare ciò che viviamo.

Queste coordinate della celebrazione e della vita, nel loro intreccio esistenziale, ci costituiscono nell’identità di sacerdote eucaristico, perché uniscono la sacralità del rito alla ferialità dell’esistenza, avvicinano il cielo alla terra, costruiscono ponti di grazia e libertà. Il sacerdote o è l’uomo dell’Eucaristia o non è neppure un sacerdote. Egli vive per celebrare l’Eucaristia, e, nella misura in cui celebra il mistero della morte e risurrezione del Signore, trasforma la sua vita in una lode a Dio: Leben ist loben: vivere è lodare. Nella quotidianità del suo ministero, lodare e non lodare si oppongono come vita e morte. La ragione della sua gratitudine e della sua lode è la consapevolezza di essere destinatario di un dono che supera la sua intelligenza e oltrepassa i suoi meriti personali. Il suo sacerdozio è un dono, perché lo ha ricevuto come ha ricevuto la vita, la famiglia, la fede, la vocazione. Proprio per questo, il papa, nella sua esortazione apostolica, che ho il piacere di donarvi alla fine della messa, ha ribadito che “la forma eucaristica dell'esistenza cristiana si manifesta indubbiamente in modo particolare nello stato di vita sacerdotale. La spiritualità sacerdotale è intrinsecamente eucaristica. Il seme di una tale spiritualità si trova già nelle parole che il Vescovo pronuncia nella liturgia dell'Ordinazione: «Ricevi le offerte del popolo santo per il Sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore».

La parola di Dio della liturgia odierna è tutta concentrata sul ruolo dello Spirito nella vita di Gesù, Sommo ed eterno sacerdote, e nella vita di ognuno di noi, chiamati a far parte di questo sacerdozio. Il profeta Isaia che ha dato parola e sentimento a Gesù, perché presentasse la sua identità messianica nella sinagoga di Nazareth è lo stesso che, con il suo messaggio, orienta la nostra coscienza di consacrati del Signore ad una missione di salvezza e libertà. Il canto di quel programma di libertà e carità, che l’assemblea dei fedeli ha fatto risuonare oggi e nel giorno della nostra ordinazione, ci ritorna alla mente e al cuore nei momenti più decisivi del nostro ministero. Quando, nella nostra vita di preghiera e di meditazione, ci mettiamo in ascolto della Parola di Dio, ci rendiamo conto che “lo Spirito del Signore Dio è su di noi, perché il Signore ci ha consacrato con l’unzione; ci ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore” (Is 61, 1-2). Lo Spirito del Signore Dio ci ricorda continuamente che siamo chiamati ad essere benedizione per le nostre comunità, a dire bene di esse, a dare ad esse una testimonianza di santità. “In realtà, i gesti e le parole del sacerdote sono i gesti e le parole di cui Dio ha bisogno per rivelarsi come amore, per comunicare una fiducia nella vita. I gesti del sacerdote sono i canali della grazia. Le mani “sante e venerabili” con le quali Gesù ha consacrato l’Eucaristia, per incanto, si moltiplicano in tante mani di sacerdoti che celebrano i sacramenti, liberano le persone dal peso della colpa e del peccato, le consolano nella malattia, le incoraggiano nel lavoro, le accompagnano nei momenti della prova”. Come ben sapete, e come vi ho promesso nella lettera pastorale, sarà mio dovere primario custodire la sacralità delle vostre mani.

Celebrare l’Eucaristia vuol dire vivere della parola di Dio, trovare in essa ragioni per sperare e per soffrire, per trasformare le cose degli uomini in cose di Dio, per allargare gli spazi della presenza della grazia negli ambiti della famiglia, del lavoro, della società. Vuol dire dare un volto concreto all’unità di Dio, attraverso l’unità con i fratelli, siano essi vicini per umana simpatia, o indifferenti per divergenza di ideali. Comunicare con il Cristo mistico, che non si vede, e rimanere estranei al fratello, che si vede, è una contraddizione spirituale che nessuna coscienza di sacerdote dovrebbe sopportare.

Celebrare l’Eucaristia vuol dire offrire il sacrificio gradito a Dio della nostra volontà e della nostra libertà, per metterle a servizio del progetto di santità sul nostro presente e sul nostro futuro. Vuol dire ripetere ogni giorno: “eccomi, Signore io vengo, si compia in me la tua volontà”. Forse non conosceremo mai il numero delle persone che Dio ha affidato all’efficacia della nostra testimonianza, all’intercessione della nostra preghiera, alla verità delle nostre parole di perdono e di conforto, così come non conosceremo mai le persone che ringraziano Dio per averci incontrato sulla strada della loro conversione.

Nella ferialità della nostra celebrazione della vita, non mancheranno le ore dello sconforto e della solitudine, perché ci sono dei momenti terribili in cui è difficile dire grazie a Dio. È difficile dire grazie a Dio, quando egli permette il dolore dell'innocente e l'oppressione del giusto. È difficile dire grazie a Dio nei momenti in cui si è derisi per la propria coerenza e non si è creduti nella propria sincerità. È difficile dire grazie a Dio quando pochi apprezzano il bene che è stato fatto, e molti dimenticano il bene che è stato ricevuto. È difficile dire grazie a Dio quando si deve cambiare direzione di vita, rinunciare al riconoscimento delle proprie idee e delle proprie convinzioni, quando si deve accettare con il coraggio della fede ciò che non si può comprendere con la forza della ragione. È difficile dire grazie a Dio quando si deve essere disposti a portare alle ultime conseguenze il fatto di essere figli adottivi di Dio e fratelli di Gesù, e considerare di conseguenza nostri fratelli anche quelli che tramano contro di noi, quelli che aspettano il momento giusto per colpirci alle spalle. È difficile dire grazie a Dio quando le parole del dolore e della sofferenza soffocano quelle della preghiera e della rassegnazione. È difficile dire grazie a Dio nel momento in cui, con le parole del profeta Isaia, chiediamo alla sentinella della nostra esistenza se e quando passerà la notte e ci si sente rispondere che l'alba verrà sicuramente ma intanto la notte regna ancora (Is 21, 11-12). È difficile dire grazie a Dio quando non si riesce ad aiutare le persone che si amano né ad impedire il male delle persone che si temono. È difficile dire grazie a Dio con Maria, la madre di Gesù e madre del nostro sacerdozio, la quale, proprio per essere la Madre del suo Signore, forse ha sofferto più di quanto non abbia gioito. La fede in Dio e la comunione con Lui, infatti, non dispensano nessun uomo e nessuna donna dalla prova d'una vita vissuta come uno slancio di fiducia in Dio in risposta alla fiducia di Dio.

Cari confratelli nel sacerdozio, cari amici, accogliamo l’invito di Benedetto XVI a porre la massima attenzione nella promozione di una spiritualità cristiana autenticamente eucaristica. “I presbiteri, i diaconi e tutti coloro che svolgono un ministero eucaristico, scrive il papa, possano sempre trarre da questi stessi servizi, adempiuti con cura e costante preparazione, forza e stimolo per il proprio personale e comunitario cammino di santificazione. Esorto tutti i laici, le famiglie in particolare, a trovare continuamente nel Sacramento dell'amore di Cristo l'energia per trasformare la propria vita in un segno autentico della presenza del Signore risorto. Chiedo a tutti i consacrati e consacrate di mostrare con la propria esistenza eucaristica lo splendore e la bellezza di appartenere totalmente al Signore” (Sacramentum caritatis, 94).

Con le parole di Ignazio di Antiochia, autore di un’autentica mistica dell’unità, vi esorto: “amatevi l’un l’altro con cuore non diviso” (Ai Magnesi, 13); “siate una cosa sola, un’unica supplica, un’unica mente, un’unica speranza nell’amore. Accorrete tutti a Gesù Cristo come all’unico tempio di Dio, come all’unico altare: egli è uno, e procedendo dall’unico Padre, è rimasto a Lui unito, e a Lui è ritornato nell’unità” (7, 1-2).

Ed ora, prima di concludere queste riflessioni, vi invito anzitutto a ringraziare con me il Signore per i particolari momenti di comunione che abbiamo vissuto nei mesi trascorsi: il pellegrinaggio diocesano a Roma, il convegno ecclesiale diocesano con la consegna della prima lettera pastorale, la Quaresima della carità, che è tutt’ora in corso e che sta dando frutti incoraggianti di solidarietà. Questi momenti sono stati esperienze di grazia e di benedizione. Comunico che il prossimo 28 aprile avrò la gioia di conferire la mia prima ordinazione sacerdotale, nella parrocchia di Tonara, al diacono don Michele Sau. Rivolgo, infine, un caldo invito a partecipare al pellegrinaggio “Rimedio - Bonarcado”, il prossimo 1° maggio, organizzato dal servizio diocesano della pastorale giovanile.

Concludo, purtroppo, con una nota di dolore. Ieri, nella parrocchia di S. Giovanni Evangelista, è stato rubato il tabernacolo contenente le ostie consacrate. Il fatto criminoso è grave e procura sgomento non solo nella parrocchia di S. Giovanni Evangelista ma anche in tutta la comunità diocesana. Nel condannare con tristezza il gesto sacrilego, chiedo che questa sera, nelle parrocchie cittadine e in tutte le parrocchie della diocesi e nelle chiese aperte al culto, si organizzi l’adorazione riparatrice e si preghi perché il gesto sacrilego risvegli nei fedeli il rispetto e l’amore della presenza eucaristica di Cristo Gesù.