Natale 2009

Cattedrale di Oristano, 25 dicembre 2009

“O Oriente, splendore di luce eterna e sole di giustizia. Vieni e illumina coloro che siedono nelle tenebre e nell’ombra della morte.” Con questa preghiera abbiamo implorato la venuta del Salvatore nella novena di Natale. Abbiamo anche invocato la profezia di Zaccaria, secondo cui “verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace”.

A queste preghiere, nell’odierna liturgia della Parola, risponde il profeta Isaia, annunciando che: “un giorno santo è spuntato per noi…oggi una splendida luce è discesa sulla terra”. Il Salvatore, dunque, per il profeta Isaia, è “una splendida luce discesa sulla terra”. Possiamo dire che questa stessa indicazione è ripresa in qualche modo anche dal vangelo di oggi. L’evangelista Giovanni, infatti, privilegia tra tanti altri titoli dati a Gesù quello di “luce che splende nelle tenebre”, “luce vera che illumina ogni uomo”. Secondo S. Cirillo di Alessandria, Gesù è colui che “ha cambiato l’occidente in oriente”, è la luce che illumina le menti, che dà il colore alle cose e dona il fine alle vicende della storia. Per la tradizione cristiana, poi, Gesù è il “sol invictus”, colui che abolisce ogni forma di idolatria astrale e la sostituisce con la presenza di Dio sulla terra. Gesù è l’indicibile diventato Parola, è il vero Dio diventato vero uomo; Egli non è un mito da evocare, un idolo da adorare, un feticcio da temere. In seguito all’Incarnazione del Figlio di Dio, secondo quanto scrive l’Apocalisse, “non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli”. In altri termini, Dio illuminerà le coscienze, le menti, gli orientamenti e le scelte delle persone, eliminerà per sempre le tenebre del male e della morte, trasformando i momenti della vita in momenti di grazia.

Risponde, ora, ai nostri sentimenti e alla nostra esperienza questa indicazione della nascita di Gesù come la discesa di una splendida luce sulla terra? Vediamo realmente la luce di Dio che illumina ogni angolo della vita umana? Forse non abbiamo sufficienti lenti di fede per scorgere l’amore di Dio e la sua misericordia presenti e nascosti nell’intreccio delle vicende terrene. Forse, la nostra fede ha delle riserve; non ha il coraggio di dire un sì a Dio senza se e senza ma. La società dei rapporti brevi e degli impegni a tempo ci contamina, ci rende tutti precari, ci toglie la forza del rischio. Credere, infatti, è un rischio, è una scommessa. E, purtroppo, oggi si è smarrito il coraggio di correre il rischio della fede o di scommettere sull’affidamento alla parola di Dio. Può darsi che ci lasciamo illuminare da altre luci che provengono dalle fonti della moda e dei luoghi comuni, ma queste fonti non sono capaci di dare senso compiuto al dolore e alla gioia, al presente e al futuro.

Natale è avvertito dalla nostra gente come il tempo dei buoni sentimenti, dei ricongiungimenti familiari, dei regali riparatori, dei tentativi di riconciliazione, dell’allentamento delle tensioni sociali e familiari. Eppure è stato scritto da Claudio Magris sul Corriere della Sera che, durante la settimana di Natale, in un paese dell’Europa opulenta e secolarizzata, la percentuale dei suicidi aumenta del 35 per cento. Proprio perché Natale è una celebrazione degli affetti familiari, della felicità, chi se ne sente privo o povero ne soffre molto di più in questi giorni che negli altri periodi dell’anno. Il Natale ricorda la nascita di Gesù, ma si dimentica che è Lui il vero festeggiato, si dimentica che è il suo compleanno, e si coltivano solo usi, tradizioni, costumi, custoditi dalla religiosità popolare. In realtà, osserva il noto scrittore triestino, nella grotta di Betlemme non c’erano suoceri, prozii, cognati, cugini di nipoti acquisiti, ossia tutto quel clan che il 25 dicembre si ha il dovere di invitare e frequentare. Questo insieme di tradizioni fa dimenticare soprattutto che Gesù non promise la felicità né in pillole né in panettoni, ma dichiarò di essere venuto a portare la spada e non la pace. Per molta gente, la felicità ha cessato di essere un bisogno dell’anima ed è diventata un obbligo sociale. Bisogna essere felici, altrimenti si è fuori moda. Bisogna sorridere, anche quando si ha il pianto nel cuore. La felicità è come la carta di credito dei paesi occidentali, nei quali chi non ce l’ha è un asociale da compatire. Le luminarie natalizie che abbelliscono le nostre vie e le nostre piazze dànno gioia ma creano anche nostalgia, accendono i desideri dei ricchi ma producono anche le delusioni e le frustrazioni dei poveri. E’ vero che essere soli a Natale può essere triste, ma è anche vero che questo vale per ogni giorno dell’anno. Dopo tutto, la settimana di Natale finisce per diventare la più affannosa delle altre, per il dovere di fare i regali, per la necessità di sentirsi buoni anche senza esserlo veramente.

Qualche giorno fa la stampa ci ha informato che il principe William, figlio di Diana, ha voluto trascorrere una notte con i barboni che dormono sotto i ponti di Londra, per sperimentare che cosa significhi dormire all’aperto nelle fredde notti di dicembre. L’iniziativa del principe William, senz’altro lodevole, ha fatto notizia. I sacrifici quotidiani dei missionari, però, non fanno notizia; le cure giornaliere e notturne delle suore di Madre Teresa ai poveri e ai vecchi delle grandi città non fanno notizia; i duecento mila cattolici di volontari sparsi nei vari santuari del dolore non fanno notizia. Eppure il Natale ci ricorda che il primo a porre la sua tenda in mezzo noi e a condividere la nostra condizione umana in tutto eccetto che nel peccato fu Gesù di Nazareth. Costui si è fatto battezzare nel punto più basso della terra, presso il fiume Giordano. E Benedetto XVI afferma: “come si potrebbe non sentirsi richiamati alla parola della lettera agli Efesini, secondo cui Cristo è "disceso nelle regioni più basse della terra" (Ef 4, 9). In Cristo Dio è disceso fin nell’ultima profondità dell’essere umano, fin nella notte dell’odio e dell’accecamento, fin nel buio della lontananza dell’uomo da Dio, per accendere lì la luce del suo amore. Egli è presente perfino nella notte più profonda” La parola del salmo 39: "anche negli inferi, eccoti" è diventata realtà nella discesa di Gesù.

Oggi si tenta di oscurare questo ricordo, di augurarsi “buone feste” invece di “buon Natale”, di abolire ogni ricorrenza sacra, per non turbare la sensibilità dei non credenti o degli appartenenti ad altre confessioni religiose. E’ nostro dovere di cristiani tenere le lampade accese, essere vigilanti, custodire la nostra identità e le nostre tradizioni, perché nessuno ci può togliere la certezza che “in Gesù era la vita e la vita era la luce degli uomini”; che Gesù è la luce del mondo, e chi lo segue “non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita”. Accogliamo l’esortazione di Benedetto XVI a cercare di tenere desta la ricerca di Dio. “Dobbiamo preoccuparci, dice il papa, che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde”. “La Chiesa, continua il papa, dovrebbe anche oggi aprire una sorta di "cortile dei gentili" dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto”.

Cari fratelli e sorelle,

abbiamo bisogno della luce di Gesù. Abbiamo bisogno, cioè, della luce che viene dall’alto, da sopra il sole, che non conosce tramonto. Gesù ha detto un giorno che noi siamo “la luce del mondo”. E San Paolo ha aggiunto che noi siamo “figli della luce e figli del giorno”. Ma sarà vero? Di fatto, spesso, le nostre lampade sono spente; le nostre lucerne sono sotto il moggio. I nostri occhi rimangono abbagliati dai colori delle cose, e non ci accorgiamo che, secondo il piccolo principe, l’essenziale è invisibile agli occhi. Chiediamo a Gesù, quindi, la luce che ci aiuti a vedere il bene dove gli altri vedono il male, a vedere il cielo dove agli altri vedono la terra, a vedere la grazia dove gli altri vedono il peccato, a vedere la vita dove gli altri vedono la morte. Chiediamo che i riflettori della moda e del denaro non siano più potenti della luce della fede; che cessi il buio e si viva nella luce della grazia; che la luce del Natale illumini le tante notti della vita.

Sia questa, allora, la preghiera del nostro Natale di grazia e di benedizione: Vieni, Signore Gesù: dov’è guerra, porta la pace; dov’è odio porta l’amore; dov’è buio porta la luce