Concelebrazione del giovedì santo

Cattedrale di Oristano, 1° aprile 2010

Cari fratelli e sorelle, la nostra Chiesa diocesana, in ascolto della voce dello Spirito, ed in risposta all’invito del papa, ha dedicato diverse iniziative per riflettere sulla missione e la vocazione del sacerdote, e, di riflesso, sulla missione e la vocazione della comunità dei fedeli.

La stessa mia lettera pastorale Il nostro orizzonte è l’infinito è dedicata a presentare l’identità del sacerdote come costruttore di ponti di grazia e di salvezza tra il cielo e la terra, tra Dio e gli uomini. Oggi, alla luce della Parola di Dio che è stata proclamata, siamo invitati ancora una volta a riflettere sia sulla missione del sacerdote che di quella di ogni battezzato partecipe del sacerdozio comune dei fedeli. Il nucleo di questa Parola di Dio, infatti, è costituito dalla descrizione della vocazione per il compimento di una missione. Nel racconto della visita di Gesù alla Sinagoga di Nazareth sono degni di nota, a questo riguardo, due fatti: la modalità con cui si manifesta la vocazione di Gesù e la finalità di questa vocazione-consacrazione.

Per quanto riguarda la modalità della vocazione, l’evangelista S. Luca, nel descrivere come Gesù utilizza il rotolo del profeta Isaia, dice semplicemente: “apertolo, trovò il passo dove era scritto”. Dunque, Gesù non sceglie il testo da commentare, e cioè, non sceglie le parole che Dio doveva dirgli, ma si rimette alla volontà di Dio così come viene espressa dal testo biblico trovato. Letto il passo, Gesù afferma solennemente: “oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito”. L’avverbio di tempo “oggi” esprime la pronta risposta di Gesù ad iniziare la missione affidatagli dal Padre. Questa risposta di Gesù mette in evidenza che è Dio che sceglie e affida.

da una missione; è Dio che chiama a svolgere un compito; e allo stesso tempo ribadisce il fatto che nella scelta di porsi a servizio della comunità, secondo la lettera agli Ebrei, “nessuno può attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne” (Eb 5, 4). Non è quindi l’uomo che sceglie dove deve andare e che cosa deve fare. Nel dinamismo della vita della grazia, strutturata con modalità responsoriale, colui che chiama è sempre Dio. Quando un giovane chiede al vescovo di essere ammesso a ricevere gli ordini sacri, è il vescovo, a nome della Chiesa, che fa discernimento e che dichiara se la vocazione al sacerdozio viene da Dio o da una decisione umana (cfr. 1Sam 3, 1-21). L’ecclesialità della missione, poi, è garantita dalla comunione con colui, che, per divina istituzione è successore degli Apostoli, e, mediante lo Spirito Santo che gli è stato donato, è costituito Pastore della Chiesa. È la comunione con il Pastore della Chiesa e con il presbiterio ciò che impedisce al singolo sacerdote diocesano di ridursi ad un funzionario del sacro ed agente di assicurazioni ecclesiastiche, ed al singolo fedele di attribuirsi ruoli arbitrari di potere. Nell’unico popolo di Dio non c’è posto per navigatori solitari o distributori autonomi di servizi religiosi, ma solo per fratelli tra i fratelli.

Per quanto riguarda la finalità della vocazione, il testo di Isaia commentato da Gesù indica i seguenti obbiettivi: portare il lieto messaggio ai poveri, proclamare la libertà ai prigionieri e agli oppressi, predicare un anno di grazia del Signore. Questi obbiettivi, come si può facilmente constatare, descrivono l’identità del sacerdote come un evangelizzatore. È importante, perciò, come ricorda Benedetto XVI, “superare pericolosi riduzionismi, che, nei decenni passati, utilizzando categorie più funzionalistiche che ontologiche, hanno presentato il sacerdote quasi come un "operatore sociale", rischiando di tradire lo stesso Sacerdozio di Cristo”. “C’è grande bisogno di sacerdoti che parlino di Dio al mondo e che presentino a Dio il mondo; uomini non soggetti ad effimere mode culturali, ma capaci di vivere autenticamente quella libertà che solo la certezza dell’appartenenza a Dio è in grado di donare”.

L’Apostolo Paolo precisa che annunciare il vangelo non è un vanto, neppure un mestiere o una scelta personale, bensì una missione ricevuta direttamente da Dio (cfr. 1Cor 9, 16). E Giovanni Paolo II ha scritto che il sacerdote “è, anzitutto, ministro della Parola di Dio, è consacrato e mandato ad annunciare a tutti il vangelo del Regno, chiamando ogni uomo all'obbedienza della fede, e conducendo i credenti ad una conoscenza e comunione sempre più profonda del mistero di Dio, rivelato e comunicato a noi in Cristo”. “In una parola, i presbiteri esistono ed agiscono per l'annuncio del Vangelo al mondo e per l'edificazione della Chiesa in nome e in persona di Cristo Capo e Pastore”. Non per nulla, l'annuncio della Parola è l'unica funzione presbiterale sulla quale il popolo di Dio può in qualche modo rivendicare un diritto: “il popolo di Dio viene adunato innanzitutto per mezzo della Parola di Dio vivente, che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti” (PO, 4).

Il Vangelo che si deve annunciare, tuttavia, non è modellato sull’uomo (cfr. Gal 1, 11). È Parola di Dio, che supera, quindi, i criteri di comportamento e le categorie di pensiero della società contemporanea. Nella prassi dell’annuncio evangelico, non si guadagna in simpatia ed in rilevanza pastorale se ci si adegua al linguaggio volgare della gente. La delicatezza del linguaggio viene apprezzata, perché è specchio di ordine interiore e di disciplina spirituale. È sempre valida l’esortazione dell’Apostolo ai cristiani di Efeso: “nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano” (Ef 4, 29). Solo sacerdoti che chiedono perdono possono insegnare a chiedere perdono.

Il sacerdote, dunque, è un uomo consacrato per compiere una missione. Benedetto XVI ha ribadito che, “quando non si tiene conto del "dittico" consacrazione-missione diventa veramente difficile comprendere l’identità del presbitero e del suo ministero nella Chiesa. Chi è infatti il presbitero, se non un uomo convertito e rinnovato dallo Spirito, che vive del rapporto personale con Cristo, facendone costantemente propri i criteri evangelici? Chi è il presbitero se non un uomo di unità e di verità, consapevole dei propri limiti e, nel contempo, della straordinaria grandezza della vocazione ricevuta, quella cioè di concorrere a dilatare il Regno di Dio fino agli estremi confini della terra? Sì! Il sacerdote è un uomo tutto del Signore, poiché è Dio stesso a chiamarlo ed a costituirlo nel suo servizio apostolico. E proprio essendo tutto del Signore, è tutto degli uomini, per gli uomini”.

Cari fratelli e sorelle,

nella comunione del presbiterio oggi si inserisce con promessa e speranza un nostro seminarista, Massimo Pibiri. Egli viene ufficialmente ammesso tra i candidati agli ordini sacri, per essere pronto ad assumere nella Chiesa il ministero che a suo tempo gli verrà conferito. Gli diamo il cordiale benvenuto. Uno speciale e cordiale benvenuto lo vogliamo dare a Mons. Pier Giuliano Tiddia, nostro arcivescovo emerito, che condivide con noi la gioia di dispensatori dei misteri di Dio. Non voglio dimenticare, ovviamente, i catecumeni, gli infermi, i nostri ragazzi cresimandi, tutti prossimi beneficiari dell’unzione con gli oli santi ed il crisma che oggi vengono consacrati. Benvenuti anche voi.