Natale 2007

Cattedrale di Oristano, 25 dicembre 2007

Il cuore del messaggio evangelico odierno ci fa vedere come la Parola di Dio che si fa evento storico di salvezza, secondo la profezia di Isaia, che si è rivelata molte volte e in diversi modi, secondo la lettera agli Ebrei, finalmente si è fatta carne in un vertice dell’incontro di Dio con l’uomo.

Vorrei proporre una breve riflessione sulla Parola di Dio fatta uomo con il richiamo a un dato di fatto. Il Vangelo di S. Matteo descrive la genealogia di Gesù e l’annuncio a Giuseppe del concepimento di Maria. Il Vangelo di S. Marco inizia il suo vangelo con il battesimo di Gesù. S. Luca è l’unico evangelista che riporta l’annuncio e il racconto della nascita di Gesù. Il Vangelo di Giovanni che abbiamo appena proclamato inizia più con una riflessione sull’incarnazione del Figlio di Dio che con il racconto di un evento. Mentre, però, solo un evangelista, cioè S. Luca, racconta la nascita di Gesù, tutti gli evangelisti raccontano la sua passione, morte e risurrezione. È stato scritto a questo riguardo che i vangeli sono una lunga introduzione al racconto del mistero pasquale di Gesù, cioè al mistero della sua morte e risurrezione. Il cuore dell’annuncio cristiano è, quindi, il mistero pasquale di Gesù. La religiosità popolare della nostra gente ha tradotto questa verità nella terminologia del Natale definito come “Pascha e Nadale” e della Pasqua di Resurrezione definita come “Pascha e aprile”.

Il Natale, dunque, è la prima tappa del mistero pasquale, ossia l’inserimento nell’esistenza storica del Figlio di Dio, che inizia col canto degli angeli nella grotta di Betlemme e culmina con l’insulto dei soldati romani sul Monte Calvario. Il credo che recitiamo per professare la nostra fede ci spiega direttamente il perché dell’incarnazione, della discesa di Gesù dal cielo nella nostra umanità. Noi professiamo che Gesù si è incarnato “per noi uomini e per la nostra salvezza”. Il “noi uomini” afferma sia che Gesù è diventato uno di noi, sia che Gesù è diventato uno di tutti noi. La salvezza che ci annuncia il Natale, quindi, si estende a tutti i luoghi della terra, a tutti i tempi della storia. L’amore di Dio non è circoscritto ai giusti e ai buoni, ma si estende a tutti gli uomini e a tutte le donne. Anzi, Gesù ha ribadito più volte che egli è venuto a chiamare i peccatori non i giusti, ed ha promesso che si farà festa in cielo più per il ritrovamento della pecorella smarrita che per la fedeltà delle novantanove rimaste nell’ovile. I giusti, o coloro che ritengono di essere giusti, fanno dipendere la salvezza dalla legge e dalla sua osservanza. Ma per coloro che ripongono la loro fiducia nella legge esteriore, che confidano solo nella sua efficacia, nella formalità del diritto, nell’osservanza dei precetti, Gesù viene invano, “perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1, 17). I farisei di ieri e di oggi non sentono il bisogno di essere salvati dalla grazia redentrice di Gesù; continuano a presentare a Dio il conto della loro onestà e non la domanda di salvezza. Chiedono premi e promozioni e non misericordia e perdono.

L’evangelista Giovanni afferma che “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia” (Gv 1, 16). In seguito all'evento di Cristo, però, tutti abbiamo ricevuto, ma non tutti abbiamo ricevuto tutto. Inoltre, tutti abbiamo ricevuto dalla pienezza, ma non tutti abbiamo ricevuto la pienezza. Orbene, se tutti hanno ricevuto grazia su grazia, significa che i semi del Verbo, secondo l'espressione di san Giustino, sono presenti, in misura più o meno esplicita, in tutti quanti i tempi e i luoghi dell'umanità, senza distinzione di cultura o di religione. Nessuno è quindi escluso dalla volontà salvifica universale di Dio, ma tutti, indistintamente, sono chiamati dall'unico Dio, salvati dall'unico Redentore, destinati a formare un'unica famiglia umana. Non tutti hanno ricevuto tutto, però, per la semplice ragione che, in primo luogo e sotto un punto di vista ontologico, una creatura finita e temporale non può contenere una realtà infinita ed eterna, un singolo uomo limitato e mortale non può esaurire la pienezza della perfezione e l'eternità; in secondo luogo e dal punto di vista storico, perché molti uomini sono vissuti prima di Cristo o vivono al di fuori della Chiesa, e non sono direttamente partecipi della pienezza della vita della grazia, quale la si sperimenta all'interno della Chiesa, mediante l'incorporazione a Cristo, che avviene per mezzo del battesimo.

Lo scarto tra la pienezza della grazia in Cristo, "apportatrice di salvezza per tutti gli uomini" (Tt 2, 11), e la partecipazione ad essa da parte dell'uomo, è, in concreto, lo scarto tra l'eternità e la storia, tra l'umanità piena e perfetta di Cristo e l'umanità partecipata ed imperfetta degli uomini, tra la stessa umanità eterna e gloriosa di Cristo e la sua umanità terrena della chenosi, svuotata della gloria e della potenza (Fil 2, 6-8). I valori umani nascosti ed i valori umani parziali sono delle partecipazioni e delle manifestazioni di questa umanità nascosta di Cristo. Le ferite di ogni samaritano della storia nascondono le ferite dell'umanità di Gesù, di quella stessa umanità che, alla fine dei tempi, sarà svelata nella persona dell'uomo carcerato, di quello affamato, assetato, nudo. Ciò comporta un rispetto quasi sacro di ogni frammento di umanità, perché in esso si riflette un raggio del volto eterno del Cristo. L'azione più umile dell'uomo più umile del mondo è una goccia d'acqua nella quale si riflette il cielo.

Il profeta Isaia chiama “belli i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, del messaggero di bene che annunzia la salvezza (Is 52, 7). Il Papa nel suo discorso alla curia romana per gli auguri natalizi ha richiamato i cristiani al dovere di annunciare il vangelo, a non confonderlo con iniziative seppure benemerite di promozione umana, a non scambiare l’annuncio delle beatitudini con proposte di etica umanitaria. Indirettamente, ha detto che agli uomini dobbiamo portare Gesù; nella nostra predicazione e nel nostro ministero dobbiamo parlare di Gesù. Non bisogna dimenticare, però, che l’amore è la forma suprema dell’annuncio, e che questa forma non si esaurisce nella sola parola, ma si allarga ad una vastissima gestualità simbolica ed affettiva, e si sviluppa e si manifesta nel sentimento, nella contemplazione, nella gratuità, nel perdono e nella riconciliazione. La grammatica dell'amore non è fatta solamente di parole, bensì di gesti concreti di generosità, di altruismo, di dedizione disinteressata all'altro. È opportuno ricordare che il più grande gesto dell'amore di Dio non è una parola, ma un fatto, come dice San Giovanni: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna" (Gv 3, 16). Dio Padre, dunque, non si è limitato a parlare di suo figlio, a proclamarlo "suo figlio prediletto nel quale si è compiaciuto" (Mt 3, 17), ma lo ha consegnato all'umanità con un gesto di amore supremo. D’altronde, come scrivo nella mia lettera pastorale, "la parola giusta è sempre quella pronunciata dall'amore. Ogni infelicità umana nel mondo dipende dal fatto che così raramente gli uomini sanno dire la parola giusta. Se lo sapessero si risparmierebbero la miseria e l'atrocità della guerra. Non c'è dolore umano che non possa essere bandito dalla parola giusta e in ogni infelicità della vita non c'è vera consolazione che quella che viene dalla parola giusta. Così parola e amore stanno insieme. La parola senza amore è già un abuso umano del dono divino della parola".

Cari amici,

Gesù è la Parola giusta di Dio Padre; la Parola fatta uomo; la Parola che salva e che perdona. Il Natale che celebriamo ci invita ad annunciare quella Parola, a testimoniarla con la vita. Auguro a tutti voi di essere sempre messaggeri di quella Parola e testimoni di quella salvezza. Buon Natale.