Don Diego Tendas

Cattedrale di Oristano, 14 giugno 2014

Abbiamo iniziato questa solenne celebrazione dell’Eucaristia invocando su di noi, con il saluto trinitario di San Paolo alla comunità cristiana di Corinto, “la grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo”. Vogliamo, ora, continuare la celebrazione ringraziando il Signore, padrone della Vigna,

perché ci dona un altro suo operario nella persona del diacono don Diego Tendas, che saluto cordialmente insieme ai suoi familiari, ai suoi parenti e ai suoi amici. Il dono di un nuovo presbitero per la comunità diocesana ci viene elargito nel giorno in cui preghiamo la Santissima Trinità, la solennità che conclude la celebrazione dei misteri della vita di Gesù, che ci ha accompagnato nei momenti forti dell’anno liturgico.

I monaci sciti, nel VI secolo, professavano la fede trinitaria dicendo: Unus de Trinitate passus est, ossia una persona della Trinità ha sofferto, è morto ed è risorto per noi. Oggi, noi professiamo la medesima fede, ripetendo con il Vangelo di S. Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). Di questa professione di fede trinitaria, tu, caro Diego, sei chiamato ad essere testimone credibile. Papa Francesco ha precisato che contro “un dio diffuso, un dio-spray, che è un po' dappertutto ma non si sa cosa sia, noi crediamo in Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Noi crediamo in persone, e quando parliamo con Dio parliamo con persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede". È opportuno ribadire, ora, che Dio non è un concetto da capire, ma una persona da incontrare ed un'esperienza da raccontare. L’esperienza, perciò, è la via privilegiata per parlare di Dio. È significativo, per esempio, che le encicliche di Giovanni Paolo II non nominino mai la Trinità con il nome di Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito, ma ne descrivano invece la relativa azione storico-salvifica attraverso la quale noi facciamo esperienza della sua presenza e della sua esistenza in tre distinte persone divine. Per cui, la Redemptor Hominis descrive l'azione del Figlio come redenzione, la Dives in misericordia descrive l'azione del Padre come un intervento di misericordia, la Dominun et Vivificantem descrive l'azione dello Spirito Santo come vita. La Trinità in se stessa, dunque, la conosciamo attraverso la Trinità che opera nella storia della salvezza.

Il Dio padre in se stesso lo conosciamo attraverso la sua opera di padre nella storia della salvezza. Benedetto XVI ha scritto che Dio “non è rimasto in una distanza irraggiungibile, ma è entrato ed entra nella nostra vita. Viene verso di noi, verso ciascuno di noi, nei sacramenti attraverso i quali opera nella nostra esistenza; con la fede della Chiesa, attraverso la quale si rivolge a noi; facendoci incontrare uomini, che sono da lui toccati, e trasmettono la sua luce; con le disposizioni attraverso le quali interviene nella nostra vita; con i segni della creazione, che ci ha donato” (Lettera a Famiglia Cristiana, 5 febbraio 2006). Può darsi che noi ci ricordiamo di Dio solo nei momenti della morte, della sofferenza, della colpa.

Ho constatato personalmente, infatti, nelle mie visite ai malati, che sul letto di morte, per molti uomini e molte donne, Dio resta l’ultima risorsa. Però, l’effetto pratico, voluto o meno, di questo modo di vivere il proprio rapporto con Dio è che mentre tutta la vita diventa pagana, solo la morte rimane cristiana. Se la Chiesa si limita a gestire solo i momenti della sofferenza e della morte, indirettamente, essa fa sì che “il grosso della vita” si svolga sempre al di fuori della competenza della fede. In ultima analisi, la concezione di un Dio “utile” fa rientrare nell’ambito di pertinenza della fede solo i margini dell’esistenza umana. Nei nostri paesi, per esempio, per molti uomini e per molte donne, l’unica manifestazione della fede cristiana è la pratica dell’accompagnamento dei morti al cimitero. In questo caso, la manifestazione della fede si risolve facilmente nel tributo che si deve pagare al funerale del parente e dell’amico.

In altri casi, la manifestazione della fede si risolve nel pagare il tributo per la festa del patrono o per la cerimonia in occasione della celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. La solidarietà nel condividere il dramma della morte e la santificazione delle stagioni della vita è senz’altro confortante. Ma la fede in Dio, Padre di misericordia e Signore della storia, è molto di più dell’osservanza di una convenzione sociale. Dio è fonte di speranza in tutte le vicende della vita e non solo rifugio di consolazione nell’ora della morte. Tu, caro Diego, sei chiamato ad essere il custode del mistero di Dio in un mondo di consumismo e di materialismo, in cui, però, cresce sempre di più la domanda di spiritualità. Per questo, non dovresti accettare il battimani per le iniziative sociali in cui il presbitero fa un'opera di supplenza. L'esistenza umana felice, realizzata, piena, non è quella priva di bisogni umani, bensì quella ricca di bisogni divini, aperta al desiderio infinito di Dio. L'uomo è nato per guardare in alto e non solo per guardarsi attorno.

Il bisogno di Dio è un bisogno autentico. Perciò, tu devi porti a servizio di questo bisogno, ossia a servizio della ricerca di Dio. Devi accompagnare la ricerca di Dio nella fedeltà alla sua Parola. La vera dimensione sacra della vita è vivere della parola di Dio. Maria di Nazareth conservava le parole di Gesù nel suo cuore. Viveva di quelle parole e con esse adorava nel silenzio e nella discrezione il mistero di suo Figlio, aiutando i discepoli a discernere i bisogni dell'uomo e i tempi di Dio. Cari fratelli e sorelle, è molto significativo osservare come la Bibbia ci parli di Dio che lavora e si riposa. Dio si è riposato al settimo giorno della sua opera creatrice e ha consacrato e benedetto non i giorni del suo lavoro ma il giorno del suo riposo, il sabato, consacrandolo e benedicendolo come giorno di festa e di ringraziamento (Gn 2, 2).

La società contemporanea, invece, consacra e benedice solo il tempo del successo e della competizione. Il presbitero non si lascia influenzare da questa mentalità mercantile, che riduce l’uomo a una macchina che deve produrre profitto economico e ottenere visibilità sociale. Egli sa lasciare spazio ai bisogni dello spirito, perché la spiritualità nutre i desideri dell'anima ed è un bisogno insopprimibile che non può essere gratificato dai psicologi di turno. Sa prendersi del tempo per ringraziare chi lo ama e perdonare chi lo tradisce. Quello che veramente conta per il presbitero non è il peso della fatica, la quantità del lavoro, la ricompensa della propria prestazione, bensì sentirsi dire “grazie” da chi ha ricevuto dal suo ministero la gioia di chiamare Dio “Padre” anche nei momenti della prova e della solitudine. Auguriamo al tuo futuro ministero, caro Diego, tanti gesti di benedizione, tante parole di conforto, tante azioni di misericordia.