Concelebrazione del giovedì santo

Cattedrale di Oristano, 17 aprile 2014

“Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi”. Così terminava il racconto evangelico delle affermazioni di Gesù nella sinagoga di Nazaret. Vorrei brevemente riflettere con voi su due interrogativi che suscitano queste solenni dichiarazioni: che cos’è questa Scrittura che si è adempiuta? Come possiamo udirla anche noi, nel nostro oggi, e tradurla in forme di testimonianza individuale e comunitaria?

Per quanto riguarda il primo interrogativo, l’affermazione pronunciata da Gesù è il cosiddetto “kerygma”, ossia “l’annuncio della buona notizia”, e costituisce la base di ogni suo insegnamento. Lo stesso contenuto lo troviamo all’inizio della sua predicazione nella Galilea:

“Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1, 15).

L’uso di questa parola, generalmente, fa riferimento alla predicazione dei primi apostoli che ci viene attestata sia dagli Atti degli Apostoli che dalle varie Lettere Paoline. Il primo esempio di kerygma lo troviamo nel discorso di Pietro alla folla il giorno di Pentecoste, subito dopo la discesa dello Spirito Santo:" Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret … dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte" … Come è stato recepito questo annuncio dai presenti? "All'udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?". E S. Pietro disse: "pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo....Allora quelli che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone".

Anche S. Paolo baserà sul kerygma il suo annuncio apostolico, come riferisce la lettera che scrisse ai cristiani di Corinto: “Anch'io o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso..."(1Cor 2, 2).

Nella predicazione apostolica, quindi, il kerigma è la proclamazione del mistero della morte e risurrezione di Gesù Cristo, cioè la proclamazione di Gesù come nostro redentore e salvatore, non come un grande profeta, un grande maestro di morale, un fondatore di una nuova religione. Gesù, per nome, per missione, per insegnamento, è il nostro salvatore, colui che ci ha liberato dalla potenza del male e dà senso e valore alle nostre esperienze, ai nostri affetti, ai nostri ideali, alla vita e alla morte. Fa differenza vivere con Gesù, sposarsi in Gesù, gioire e soffrire con Gesù, morire in Gesù. La fede nella presenza di Gesù nella propria vita è un valore aggiunto che dà ispirazione e coraggio per affrontare con fiducia le vicende liete e tristi dell’esistenza terrena. Ci sono tante persone che hanno fatto questa esperienza nella rassegnazione cristiana della malattia, alla vigilia di scelte decisive di vita, nei momenti bui del dubbio e della solitudine.

Per quanto riguarda il secondo interrogativo su come tradurre in forme di testimonianza le parole di Gesù, dobbiamo ricordare anzitutto che la Chiesa nacque dal kerygma predicato "in spirito e potenza" e che, quindi, anche oggi, una Chiesa rinnovata nella sua forza apostolica può nascere solo da una nuova proclamazione del Vangelo, che è "potenza di Dio per chiunque crede." La nostra Diocesi vuole rinnovarsi con questo spirito e, a questo scopo, sta percorrendo un cammino sinodale per dare un volto missionario alle comunità parrocchiali e novità profetica all’annuncio del Vangelo. Spero e mi auguro, allora, che il cammino sinodale conduca tutti noi, in quanto consacrati dal battesimo di Gesù, a testimoniare il Vangelo in tutti i luoghi, in tutte le stagioni e in tutte le condizioni della vita, con la potenza dello Spirito.

Purtroppo, viviamo in un epoca dove abbondano le false testimonianze e le promesse facili. Perciò, siamo diventati diffidenti nei confronti di promesse reclamizzate come un prodotto commerciale. Certo, la fede non è un prodotto commerciale, ma proprio per questo ha bisogno di testimoni veri, credibili. Dobbiamo, perciò, continuamente purificare la nostra testimonianza di vita cristiana e renderla più credibile. Per ottenere ciò, secondo papa Francesco, tutti “abbiamo bisogno di cambiare la vita”, accostandoci al Signore. Lui, infatti, “ci vuole vicini” e “ci aspetta per perdonarci”. Allo stesso tempo, però – ha precisato Francesco – Dio vuole un “avvicinamento sincero”, e non “cristiani truccati, che quando passa l’apparenza, fanno vedere subito che non sono veri cristiani”. E c’è un segno molto chiaro per capire se si va sulla buona strada o “verso il salone trucchi dell’ipocrisia”: “avere cura del prossimo, del malato, del povero, di quello che ha bisogno, dell’ignorante”.

“Questa è la pietra di paragone”, ha assicurato il Papa, perché “gli ipocriti non sanno fare questo, non possono, perché sono tanto pieni di se stessi che sono ciechi per guardare gli altri”. E solo quando uno “cammina un po’ e si avvicina al Signore”, ottiene “la luce” necessaria per “vedere queste cose” e “aiutare i fratelli”. La conversione vera e propria si sperimenta nell’“incontro con Gesù Cristo”, e si traduce in gesti concreti come “curare i fratelli, quelli più poveri, quelli ammalati, come il Signore ci insegna”.

La missione di Gesù, quindi, di “portare il lieto annunzio ai poveri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, promulgare l’anno di misericordia del Signore” dovrà essere compiuta oggi da una Chiesa “ospedale da campo”, che cura chi soffre, perdona chi pecca, incoraggia chi è debole. Vogliamo essere protagonisti gioiosi di questa Chiesa “in uscita” e compassionevole. Vogliamo contribuire a realizzare la profezia di Gioele: “io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie, i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni” (Gioe 3, 1).

Cari fratelli e sorelle,

non spegniamo all’alba i nostri sogni d’una Chiesa missionaria! Gesù è ancora con noi e ci invita a prendere il largo con Lui. Possiamo e dobbiamo farcela. Gesù è con noi ma ci chiede di essere uniti. Divisi, infatti, non si va da nessuna parte e non si evangelizza! Uniti, e con Gesù, saremo una Chiesa missionaria che porta la gioia del Vangelo ai giovani e agli adulti, ai ricchi e ai poveri, a chi crede e a chi non crede, a chi spera e a chi dispera.