Concelebrazione del giovedì santo

Cattedrale di Oristano, 2 aprile 2015

Quest’anno celebriamo la messa crismale in un contesto di eventi ecclesiali, uno più importante dell’altro: nella nostra Chiesa diocesana, le assemblee parrocchiali e generali del Sinodo su la Parrocchia Chiesa tra la gente; nella Chiesa italiana, la preparazione del Convegno Ecclesiale di Firenze sul tema In Gesù Cristo il nuovo umanesimo;

nella Chiesa universale, la celebrazione dell’anno della vita consacrata e la preparazione del Sinodo su La vocazione e la missione della famiglia. A questi eventi, ora, si è aggiunta anche l’indizione dell’anno santo straordinario della misericordia. Di fatto, ci troviamo davanti a una molteplicità di percorsi spirituali, progetti di evangelizzazione, messaggi di rinnovamento missionario, che creano ansia organizzativa e dispersione pastorale. Se dal contesto ecclesiale, poi, passiamo a quello civile, ci troviamo davanti alla sofferenza di tante famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese, di tanti giovani senza lavoro e senza futuro, di tante forme di violenza gratuita nonché di gravi schiavitù morali. Nell’esercizio del mio ministero di pastore e guida spirituale, incontro tante persone, che cercano qualcuno che faccia loro compagnia e che vada al di là del semplice ascolto; trovo persone che cercano una Chiesa che non conosca la loro sofferenza solo dalla televisione, “che non sia troppo lontana dai loro bisogni o troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, che torni a portare calore, ad accendere il cuore” (Papa Francesco).

Come può affrontare, ora, queste situazioni la nostra Chiesa arborense, in ascolto del messaggio evangelico di liberazione, e in fedeltà alla comune vocazione di “popolo di sacerdoti”? È necessario trovare un centro catalizzatore, che aiuti a tradurre in uno stile di testimonianza evangelica i frutti spirituali degli eventi che celebriamo. Per noi, questo centro unificatore e catalizzatore non può non essere il rinnovato impegno, come comunità di battezzati, a sentirsi, essere ed operare veramente come “Chiesa tra la gente”.

Anzitutto siamo chiamati ad essere Chiesa tra la gente seguendo l’indicazione di papa Francesco, che “sogna una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia”. Bisogna scendere dai nostri balconi e condividere problemi, fatiche, speranze della nostra gente; abbandonare le dogane pastorali e le giustificazioni canoniche; uscire dagli ambienti popolati da cristiani praticanti e creare rapporti di dialogo con i non credenti o con chi ha rotto con la Chiesa. In una parola, bisogna uscire dall’ovile, perché le 99 pecore sono tutte fuori, e al sicuro ormai ce n’è una sola.

Una seconda indicazione di papa Francesco è quella di lavorare per guarire dalle 15 malattie e tentazioni che indeboliscono la nostra missione di “annunciare un lieto messaggio ai poveri” (cfr. Lc 4, 18). Tali malattie e tali tentazioni proprie della Curia Romana sono naturalmente un pericolo per ogni cristiano e per ogni comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale. Noi dobbiamo guarire in modo particolare da due di queste malattie: l’impietrimento e l’alzheimer spirituale. “La malattia dell'impietrimento mentale e spirituale è propria di coloro che posseggono un cuore di pietra e un duro collo; di coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando macchine di pratiche e non uomini di

Dio. È pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per farci piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È la malattia di coloro che perdono i sentimenti di Gesù perché il loro cuore, con il passare del tempo, si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo".

L’alzheimer spirituale è la “malattia della dimenticanza della storia della salvezza, della storia personale con il Signore, del primo amore. Si tratta di un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie. Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore; in coloro che non fanno il senso deuteronomico della vita; in coloro che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie".

Può darsi che anche noi, nella nostra attività pastorale, seguiamole logiche di pensiero e di fede di cui ha parlato Papa Francesco nell’omelia della messa per la creazione dei cardinali, il 15 febbraio scorso, e, cioè,“la paura di perdere i salvati e il desiderio di salvare i perduti. Anche oggi accade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche: quella dei dottori della legge, che vogliono emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata, e la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio. Queste due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare”.

Ora, la logica che deve prevalere, ovviamente, è quella praticata da Gesù, ossia quella della misericordia e dell’integrazione. “Questo non vuol dire, precisa il Papa, sottovalutare i pericoli o fare entrare i lupi nel gregge, ma accogliere il figlio prodigo pentito; sanare con determinazione e coraggio le ferite del peccato; rimboccarsi le maniche e non rimanere a guardare passivamente la sofferenza del mondo. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; quella di adottare integralmente la logica di Dio; di seguire il Maestro che disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, mai peccatori» (Lc 5, 31-32).”

Cari fratelli e sorelle,

mi auguro che l’anno santo straordinario della misericordia ci aiuti a promuovere la logica di Gesù. Non sprechiamo questo tempo di grazia. Perdoniamo e saremo perdonati. Amiamo e saremo amati.